Suzzara No Place 3
Performance di Body Painting a cura di Tiziano Colombo con Veronica Corradini, utilizzando l’opera di Claudio Verna “Parole sconosciute” 1999, della collezione del Museo.
Performance di Body Painting a cura di Tiziano Colombo con Veronica Corradini, utilizzando l’opera di Claudio Verna “Parole sconosciute” 1999, della collezione del Museo.
Associazione Mara Coccia, Roma, novembre 2011
A sfogliare il Catalogo ragionato relativo all’opera di Claudio Verna risulta evidente quel misterioso processo secondo il quale ciò che scorre nella cronaca quotidiana lo si ritrova di poi incastonato in capitoli nella storia dell’arte contemporanea. Il mistero si scioglie, naturalmente, all’altezza dei Maestri.
Il summenzionato catalogo dichiara anche l’intransigenza dell’artista, che distrugge cospicua parte dell’apprendistato poetico, sì che ciò che permane è anche “approvato”, vale a dire partecipa alla costituzione della coscienza dell’autore.
Moti del colore, catalogo personale Galleria Progettoarte-elm, Milano, 2011
Claudio Verna, come è noto, è considerato uno degli esponenti più brillanti di una tendenza che, in una determinata congiuntura storica, per “salvare” la pittura nel momento in cui dalla sponda concettuale se ne profetizzava la morte, decise di utilizzare le stesse armi degli avversari puntando tutte le sue carte sull’aspetto mentale, teorico, analitico. L’appellativo che ebbe più fortuna per indicare questa confluenza di propositi fu appunto quello di “pittura analitica” e l’aspetto che venne sottolineato e preso a comune denominatore fu l’atto di riflettere sulla pittura nel momento stesso in cui essa era eseguita.
Claudio Verna, in Arte Contemporanea, Anno V, n.22, Grottaferrata – Roma, 2010
Claudio Verna fin dai primi anni ’60 imposta il suo lavoro sulle possibilità della percezione,sui sistemi attenzionali che il fruitore deriva dalla determinazione degli elementi formali che l’artista propone.
La pittura si pone come “campo” che assume le trasformazioni sensibilissime del colore e della forma, attraverso una concettualizzazione della pittura stessa che non si pone nell’ordine di una tautologia autoreferenziale, ma che mantiene la sua intrinseca identità pittorica.
Lettera a Claudio Verna, 20/10/2010
Caro Claudio,
come ti ho detto telefonicamente, per un improvviso problema di salute, non posso mantenere l’impegno di essere con te e con tutti i convenuti per testimoniarti la mia stima e amicizia in un’importante occasione come quella del catalogo generale relativo alla tua pittura.
Dell’Accademia di San Luca ho un bellissimo ricordo quando, molti anni fa, con l’intervento di Calvesi fu presentata la mia monografia su Uncini.
Pittura essenziale e colore tra ordine ed eccesso, razionalità e istinto. Tappe evolutive nell’opera di Claudio Verna, Catalogo ragionato, Fondazione VAF, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2010
Quando a Firenze, all’età di circa vent’anni. Claudio Verna decise di fare il pittore, la pittura, regina delle arti, disciplina per la quale gli auguri della critica profetizzavano in quei giorni, quasi unanimemente, un futuro oscuro, non sembrava promettere grandi cose.
Claudio Verna, pittore, Catalogo ragionato, Fondazione VAF, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2010
Per comprendere cosa questo attributo possa significare per il contesto in cui vive l’artista sarà necessario percorrere analiticamente tutta la sua attività, dagli esordi attorno al 1959, al lungo periodo di appartata maturazione a metà anni sessanta, all’impetuoso successo a cavallo del 1970, alla riflessione sulla pittura come mezzo, strumento e linguaggio dalla fine di quel decennio ad oggi.
Come dipingo? La domanda è così insolita, che mi sento come costretto a rispondere: prima di tutto per chiarirlo a me stesso, come sempre quando ho scritto d’arte.
So bene perché dipingo e cosa mi propongo, quali possono essere i rapporti con la tradizione e le prospettive del nuovo, ma il “come” è talmente funzionale a questi problemi che mi è sempre apparso come qualcosa di necessario, di inevitabile.
La soglia del colore – La pittura di Claudio Verna, catalogo personale Libreria Ferrarin, Legnago
La Pittura è tante cose: linguaggio, esplorazione, necessità e altro ancora. Eppure non è la somma di tutto ciò. Comunque la si affronti, essa trattiene sempre una parte per sé.
Nella seconda metà degli anni 60, con la pittura messa sotto accusa nelle sue possibilità e nella sua stessa sopravvivenza, arrivai per gradi ad usare un solo colore: non era né un raggiungimento né il grado zero della pittura. Posavo sulla tela un solo colore come un musicista, già esperto, che torna a sillabare le prime note per prenderne piena coscienza, capirne il senso profondo nel suo rapporto con il silenzio.
Volker W. Feierabend – Quando hai iniziato a dipingere eri figurativo o hai iniziato subito astratto?
Claudio Verna – Ho scoperto la pittura o, meglio, la pittura ha conquistato me, a sedici anni, in una provincia che praticamente ignorava l’arte moderna: non potevo che essere figurativo.
Dipingere paesaggi o fare il ritratto a qualche amico, era l’unica possibilità che mi si offriva. Poi ho scovato imprevisti compagni di strada e insieme siamo andati a caccia di ogni informazione possibile. Ricordo i primi incontri e i primi viaggi come vere e proprie scoperte.
1. Henry Matisse scrisse una volta che ai pittori bisognerebbe tagliare la lingua. Gastone Novelli sosteneva che un pittore esprime per segni ciò che non è traducibile con le parole. Per Alberto Burri, drasticamente, ogni parola è di troppo. L’elenco degli artisti che hanno assunto posizioni simili è pressoché infinito. Ma c’è poi una curiosa contraddizione: quasi tutti hanno parlato e scritto per tutta la vita.
Il canto del colore, catalogo personale Associazione Mara Coccia, Roma, 2008
Claudio Verna è il colore. La sua pittura è una sinfonia di cromie che echeggiano il palpitare della vita. È il canto di un uomo che guarda il mondo attraverso il colore.
Verna si definisce pittore perché non ha mai pensato di potersi esprimere se non con il colore stesso. Non esiste disegno nella sua pittura, né la traccia di un’idea in bianco e nero.
Cinque domande a Claudio Verna, in catalogo personale Fondazione Zappettini, Milano, dicembre 2008
Alberto Rigoni – La Pittura è ogni giorno messa in discussione. È accaduto nel passato, ad esempio negli anni precedenti alla Nuova Pittura; accade anche oggi, ad esempio alcuni musei italiani, anche importanti, ospitano raramente se non malvolentieri, puri e semplici “quadri”. Eppure, l’atto del dipingere è, forse dopo l’atto dello scrivere, quello cui con più frequenza ricorre chi desidera fare arte o semplicemente esprimersi. Ciononostante, e benché nessuno si sogni di definire desueti Teatro, Cinema o Architettura, la Pittura deve sempre giustificare la propria esistenza.
Claudio Verna o della leggerezza dell’essere, catalogo antologica Opere 1967 – 2007, Museo Nazionale d’Abruzzo, Castello Cinquecentesco, L’Aquila, dicembre 2007
In una foto scattata a Guardiagrele nel 1939, quando aveva solo due anni, Verna appare in un plain air estivo agreste, a forti contrasti di luce ed ombra, di netto sapore michettiano: protetto dal calore dell’abbraccio paterno, in un campo di spighe mature confinanti col declivio scosceso di un colle.
Cara Anna,
so bene che le parole degli artisti sono quasi sempre giustificazioni e che ai pittori, come diceva Matisse, bisognerebbe tagliare la lingua (anche se poi lo stesso Matisse parlò e scrisse per tutta la vita). Ma parler peinture è anche una necessità, perché aiuta a scandagliare non solo le ragioni e le pulsioni che sono all’origine del proprio lavoro, ma anche il rapporto di questo con la realtà del mondo, con la ricerca degli altri, con la tradizione.
In “La nuova pittura in Italia 1972 – 1978”, Fondazione Zappettini, Chiavari, ottobre 2007
1. Quale fascino ha esercitato su di Lei la pittura per far sì che essa venisse da Lei preferita all’epoca ad altri medium artistici come mezzo espressivo principale?
2. Di che tipo era all’epoca il Suo interesse verso il supporto, il colore, gli strumenti? E oggi?
Avevo sedici anni quando vidi, casualmente, una mostra di pittura allestita da un artista, a me sconosciuto, nel retrobottega di un negozio di mobili: ne ebbi una emozione tale che tornai a visitarla tutti i giorni, fino a stordirmene.
Claudio Verna, catalogo personale Galleria Trentasette, Palermo, ottobre 2006
Pochi termini hanno generato, nei corso della pittura del Novecento, tanti fraintendimenti ed equivoci come quelli di superficie e profondità: soprattutto a partire dagli anni Quaranta, da quando cioè Clement Greenberg individuò quale carattere cruciale delle opere della cosiddetta Scuola di New York quel valore della bidimensionalità che nello slancio critico e polemico assurgeva a criterio spartiacque tra la precedente tradizione, benché ancora prossima e tutt’altro che esauritasi, e la nuova temperie culturale.
Ho intitolato questo quadro La Soglia perché indica letteralmente la soglia del vedere, la soglia della percezione visiva. Il quadro è dipinto con colori ad olio che consentono, a differenza degli acrilici che uso attualmente, una elaborazione lenta, stratificata, per velature e sovrapposizioni, delle “figure” (per dirla con Filiberto Menna) che alla fine emergeranno come protagoniste del quadro. Così, il tempo di realizzazione di questo quadro è stato particolarmente lungo.
Io non faccio disegni preparatori del quadro. Intervengo direttamente con il colore, affido interamente al colore la capacità di determinare la struttura del quadro.
La pittura di Claudio Verna tra misura e passione, catalogo personale, Opere 1994 – 2001, Palazzo Mormino, Donnalucata, agosto 2001
La pittura di Claudio Verna è fondamentalmente solare, luminosa e i suoi colori preferiti sono il giallo e il rosso. Egli rifugge dal dramma, aderisce alla realtà del colore legato indissolubilmente alla luce, energia pura dello spazio dipinto. Per lui non esiste il nero, anche la notte è luminosa. Non è la natura che lo interessa; se questa è presente lo è in modo indiretto, intervenendo sull’inconscio. L’arte è legata alla forma-colore.
I doppi, catalogo personale Museo Laboratorio di Arte Contemporanea. Università “La Sapienza”, Roma, giugno 1999
Chiamare “quadri doppi” e non dittici i lavori che espone in questa mostra non è, per Claudio Verna un vezzo lessicale ma corrisponde ad una ragione profondamente meditata. Il dittico -etimologicamente – è un quadro piegato in due, una composizione divisa in due zone distinte; il doppio invece gioca sulla dialettica di due corpi separati che, entrando in relazione tra loro, istituiscono una nuova dimensione compositiva.
Claudio Verna e la fine dei generi, in “La Repubblica”, Roma, 11 gennaio 1999
«La mia aspirazione è quella di essere definito pittore, senza alcun aggettivo di seguito. Quando ho cominciato il mondo dell’arte ancora s’accendeva in nome dell’astratto o del figurativo. Ero considerato un pittore astratto. Questa distinzione oggi ha perso completamente di senso e quindi vorrei essere ricordato soltanto come pittore».
Il pittore senza aggettivi è Claudio Verna, a cui dedica una grande antologica la Galleria comunale di Palazzo Sarcinelli di Conegliano (fino al 31 gennaio, catalogo Electa).
Claudio Verna, la persistenza del colore, in monografia Electa, antologica Palazzo Sarcinelli, Conegliano, dicembre 1998 – gennaio 1999
“Io mi dico pittore perché ho sempre pensato di potermi esprimere solo col colore. Ma il colore non è un attributo della pittura. Come dice Dora Vallier, la pittura occupa lo spazio in quanto colore”. Così mi scriveva Verna in una lettera del 1993, esprimendo molto più di una sua convinzione. Per lui la pittura coincide e ha sempre coinciso con il colore. Espresso con luminosità scandite e regolate o costituito da un’inquieta organizzazione segnica, il colore, nel corso degli anni, rimane quel centro che si irradia dal fondo alla superficie, che assorbe tutte le attenzioni dell’artista, in un rapporto inesauribile, fatto di azione e di riflessione.
Il cerchio di Verna, in monografia Electa, antologica Palazzo Sarcinelli, Conegliano, dicembre 1998 – gennaio 1999
Il 1959: è un anno lontano, ormai, quello che ha segnato l’avvio della pittura di Verna. E, per la pittura, il lungo tempo che è trascorso, da allora ad oggi, non è stato un tempo facile.
L’arco nel cielo in monografia Electa, antologica a Palazzo Sarcinelli, Conegliano, dicembre 1998 – gennaio 1999
L’arte continuerà sempre
a smentire ogni sua definizione.
Claudio Verna
Qualsiasi critico che si sia occupato, soprattutto in questi ultimi anni, di Claudio Verna, e naturalmente mi includo in questo gruppo, si è trovato a porre l’accento sulla sua capacità di esercitare una continua, e ormai lunga, riflessione sul proprio lavoro. Cosicché le sue parole scritte sono entrate, e tuttora entrano, a far parte di quanto sulla sua pittura si è detto.
Il Cromonauta, “Art e Dossier” n. 135, Firenze, giugno 1998; e in catalogo personale Accademia dei Concordi, Rovigo, ottobre 1998
Nei dintorni di Spoleto, a Rapicciano, un piccolo borgo umbro dominato da una torre trecentesca, vive Claudio Verna. L’artista abruzzese di nascita, vissuto a Firenze e a Roma, ha scelto da alcuni anni di lavorare lì, in una grande casa secentesca, dove lo studio, all’ultimo piano, domina un paesaggio dolce e mosso dal vento; i cambiamenti di colore sono repentini, folate si posano come pennellate sull’erba e sul cielo, sulle colline e sui mattoni antichi stendendo mille sfumature di verdi, azzurri e ocra.
Claudio Verna. Piccolo formato, catalogo antologica Piccolo Formato, Galleria Fumagalli, Bergamo, aprile 1998
Questa esposizione procede da un progetto lucido e preciso dell’artista Claudio Verna che ha scelto il punto di vista del piccolo formato ed ha selezionato le 35 opere presenti in mostra. Ogni riflessione in merito deve partire da questo dato di fatto. Il testo che segue sarà quindi anche un dialogo con l’artista, con l’immagine che di sé propone oggi.
Osserviamo attentamente la collocazione nel tempo delle opere scelte e la loro frequenza. Le prime due rinviano al 1959.
Claudio Verna: Dipinti e opere su carta, catalogo personale Galleria Bambaia, Busto Arsizio, febbraio 1998
Parlando di Verna non posso non partire dagli anni Settanta. Prima di tutto per motivi di carattere personale: è allora che l’ho conosciuto, da allora siamo diventati amici; poi perché sono convinta che da quell’epoca ormai lontana nel tempo siano derivati tutti gli sviluppi futuri della sua pittura ostinata e coerente.
E non solo per quello che in quei quadri di allora c’era, ma ancor più – direi – per quello che non c’era e che sarebbe stato poi recuperato.
Canto alla durata, catalogo personale Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, Ferrara, febbraio 1997
Succede qualcosa, all’aprirsi degli anni Ottanta, nell’opera di Claudio Verna. Da porla entro una misura di poesia diversa, che già dal 1978, che è data per lui fatidica, aveva cominciato a manifestarsi. Quadri come Cadinium red, Fox-trot, Understatement, Pittura., solo per dire di qualcuno, si staccano da quella nera geometria che aveva toccato in modo quasi uniforme il percorso degli anni Settanta, in pieno regime di Pittura-pittura o Nuova- pittura che dir si voglia.
Una lucida, trepida passione di pittura, catalogo personale Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, Ferrara, febbraio 1997
Claudio Verna ovvero il cantico del colore. Tale principio ineludibile della genesi della pittura di Verna, variamente argomentato dalla critica, conduce ad individuare attraverso quali modalità, nella circolarità dei corsi e ricorsi storici del lavoro, il colore, nella duttilità della sua oggettivazione, costituisca il motore primo della ricerca dell’artista. Altre due constatazioni preliminari si impongono: la prima attiene alla severa disciplina di mestiere, quasi un imperativo categorico, che sottende l’ars di Verna.
Claudio Verna, l’eterno ritorno, catalogo personale Galleria Edieuropa, Roma, febbraio 1995
Claudio Verna è un pittore degli equilibri, non degli scompensi. Quale che sia l’idea iniziale, la più aritmica e asimmetrica che si dia, l’approdo esprime una giusta distribuzione, pienezza formale, contemperamento di tutte le pulsioni possibili. Verna ama anche i colori violenti, quelli che determinano rapide dissonanze e rivolte interne ma, a quadro finito, i colori, da rissosi che erano, paiono semplicemente accesi.
Claudio Verna, trepida asprezza, catalogo personale Galleria Morone 6, Milano, febbraio 1995
Come non di rado gli accade da quando è pittore – cioè da sempre -, e da quando fa mostre, e vede pubblicati cataloghi e monografie sul proprio lavoro, anche questa volta Claudio Verna, su queste stesse pagine, scrive di pittura.
(1) Da sempre, l’arte non tollera definizioni. Si annida nelle pieghe più nascoste (delle cose e degli uomini), sa attendere, mimetizzarsi, rispunta da dove mai l’avresti immaginato. Assume forme inaspettate, si allea con la tradizione e per definizione la trasgredisce, è pensiero che si manifesta e fare che diventa pensiero. Può apparire conciliante ed essere rivoluzionaria, si compromette con la realtà e insieme la doppia: ma, sempre, rifiuta la definizione teorica e tantomeno ideologica.
Voce Enciclopedia Italiana Treccani, Vol.V, Appendice V, 1995
Protagonista tra i più autorevoli del rinnovamento della pittura negli ultimi decenni, Verna svolge una coerente ricerca artistica, significativamente connessa alla riflessione estetica e dialetticamente attenta ai valori della tradizione, della contemporaneità europea e di certo espressionismo astratto americano. Fin dalla fine degli anni Cinquanta i suoi dipinti, inseribili nell’ambito dell’Informale, si caratterizzano per una gestualità di contenuta tensione energetica e di esplicita valenza cromatica, impostata su toni rossi, gialli, aranciati, grigi, e guizzi di verde.
Caro Claudio, catalogo antologica Galleria Comunale D’arte Moderna, Spoleto, Palazzo Ràcani Arroni, maggio 1994
Mi scrivi che non ami il termine “antologica”: ti capisco, è come voler mettere al sicuro e relegare nel passato un qualcosa che è invece ben vivo, materia di lavoro attuale, non legato – o non più legato – al momento in cui è stato fatto (sembra un paradosso, ma le opere d’arte si staccano dalla storia dell’arte proprio quando perdono quella loro caratterizzazione temporale, tanto cara ai filologi).
Caro Marco,
la parola “antologica” allude inevitabilmente a bilanci o consuntivi e sembra escludere l’idea stessa del movimento: per questo non la amo, e preferisco pensare che la mostra che stiamo preparando sia piuttosto l’occasione per una verifica su cui impostare il lavoro di domani.
Ho scelto di esporre i grandi formati perché sono opere che, per l’impegno che richiedono, non solo mentale, ma direi perfino fisico, si pongono spesso come cardini del mio discorso sulla pittura, a cui guardo io stesso per trovare ragioni e motivazioni per andare avanti.
Claudio Verna, Costruttività del colore, catalogo personale Galleria Fumagalli, Bergamo; Galleria Soave, Alessandria, 1993
Per Verna la pittura coincide e ha sempre coinciso con il colore. Fatto di luminosità scandite e regolate, o costituito da un’inquieta organizzazione segnica, il colore è ciò che abita e muove la superficie. Centro di riflessione e di azione, rappresenta quanto di inesauribile lega l’artista con la propria opera.
E’ lo stesso Verna a scrivere: “Io mi dico pittore perché ho sempre pensato di potermi esprimere solo col colore. Ma il colore non è un attributo della pittura.
Io mi sono sempre considerato pittore perché convinto di potermi esprimere soltanto con il colore: ma senza la pretesa di privilegiare la pittura nei confronti di qualsiasi altro mezzo o disciplina. Anzi, spesso, la ricerca mi ha fatto sentire più vicini artisti che indagano altri spazi e altre possibilità: e questo perché credo che l’arte sia una scommessa, un progetto che ha a che fare con l’utopia, una proposta che non doppia la realtà ma casomai la interpreta fino a proporne un’altra.
Carte di Verna, Pittura di carte, Edizioni Mèta, Bolzano, 1990
Carte volanti, carte colorate, carte disegnate.
Le immagini si spostano dentro i margini concreti dell’ultima pittura di Verna attingendo alla fonte di gesti immediati, ancora carichi di stupore.
Claudio Verna. La pittura come emozione, ARTINUMBRIA, n.21, Perugia, autunno 1989
“In tutti questi anni, mi sono spesso fatto questa domanda: la pittura, nonostante il peso enorme della tradizione e dei condizionamenti storici, ha sempre la capacità di proporsi come disciplina per fare arte, e possibilmente grande arte? Ho sempre risposto di sì, ad una condizione: che della pittura si recuperino prima di tutto le potenzialità con un’indagine accorta, profonda, critica, insomma dei suoi elementi costitutivi, della sua struttura, della sua storta.
Claudio Verna, L’impronta del gesto, “Tema Celeste” n. 19, Siracusa, gennaio-marzo 1989
Il difficile esercizio del magistero pittorico è inteso come esplorazione sistematica di tutta la gamma delle potenzialità espressive del colore.
Verna ha liberato la sua pennellata senza mai rinunciare all’esigenza di organizzare e risolvere il flusso indisciplinato del colore.
Verna: il colore come identificazione, catalogo antologica Museo Civico d’Arte Contemporanea di Gibellina, luglio 1988
Nel 1979, a chiusura della monografia edita da Politi, Claudio Verna concludeva: «Intutti questi anni, mi sono spesso fatto questa domanda: la pittura, nonostante il peso enorme della tradizione e dei condizionamenti storici, ha sempre la capacità di proporsi come disciplina per fare arte, e possibilmente grande arte? Ho sempre risposto di si, ad una condizione: che della pittura si recuperino prima tutte le potenzialità con una indagine accanita, profonda, critica insomma, dei suoi elementi costitutivi, della struttura, della sua storia.
Emozione e gesto. Opere recenti di Claudio Verna, “II Giornale”, Milano, 29 novembre 1987
Claudio Verna, artista abruzzese (di Guadiagrele) trapiantato a Roma, tra i maggiori della generazione «di mezzo», torna a Milano con un’importante personale di opere recentissime, quasi tutte di quest’anno.
Claudio Verna, “II muro della pittura”, catalogo personale Galleria Morone 6, Milano, novembre 1987
Lo spazio della pittura è un muro, ma tutti gli uccelli dei mondo vi volano dentro». Nicolas De Staёl
La modernità, in Pittura, nasce da un’inimicizia con lo spazio. Quando De Stael scrive: «Lo spazio della pittura è un muro» si serve di una metafora che non si adatta a tutta la pittura, ma solo a quella che, tra non pochi equivoci, si è definita moderna.
Da catalogo Rivivi la tua città, Rocca Paolina, Perugia, 1987
Claudio Verna è, ormai, un “maestro”. Non nel senso che abbia una “scuola”, ma in quanto può porsi come “esempio”. Il suo percorso artistico, dal giovanile informale all’astrattismo analitico fino all’attuale fase di segno più “gestuale”, è una ricerca, rigorosa e continua, all’interno della “pittura”. Non è interessato al “quadro”, ma agli elementi costitutivi della pittura stessa. Ora, in piena maturità, l’elemento razionale resta più nascosto, non serve più “dimostrare”.
Claudio Verna, La notte di S. Silvestro, catalogo personale Studio Ghiglione, Genova, febbraio 1987
Periodicamente mi incontro con Claudio Verna, ormai da moltissimi anni, e il mio compito diventa a un tempo più facile e più difficile, giacché l’artista e il crìtico s’intendono con empatetica immediatezza quasi su tutto mentre i margini di parola si fanno più stretti. Meglio far parlare, allora, direttamente l’artista, tentare una costruzione del discorso critico attraversando i suoi pensieri e le sue parole.
Mistero rosso, “La Repubblica”, Roma, 9 ottobre 1986
II rosso notturno è luogo misterioso di inattesi avvenimenti, di incontri e di scontri, di sensi non pacificati. Rapidi, i colpi di pennello piombano ad occupare quello spazio: un grumo di luce d’oro entra a sinistra, un rosso più acceso lo argina a destra; insieme fanno il ritmo della pagina pittorica, che è ansimante e spezzato, denso e sincopato.
Roma barocca, questo il titolo del dipinto, è un’opera di Claudio Verna (Guardiagrele, 1937) ora esposta alla Casa del Machiavelli presso Firenze, in una bella mostra di cose recenti di questo pittore.
Claudio Verna alle origini del colore, catalogo personale Casa del Machiavelli, San Casciano Val di Pesa, luglio 1986
C’è una pittura che ci porta lontano, fuori, all’esterno di se stessa, che procede quasi dimenticandosi o che comunque noi dimentichiamo. C’è invece una pittura che ci afferra, ci costringe a seguirla, una pittura che vuole essere presente e con la sua presenza costituisce motivo di continua attesa. Questa è la pittura di Verna, che ci attende e ci costringe a attendere.
Un lavoro che procede secondo un andamento particolare e ininterrotto: arrivare alla propria profondità. Raggiungersi.
Verna, vecchio e nuovo, “Gazzetta del Sud”, Messina, 5 aprile 1986
Si è come presi da un morbido vortice che lascia spazio, e a tanto induce, alla memoria ed all’emozione pur se, nel suo stesso vorticare di immagini e di colori, vigile mantiene un discreto controllo di razionale misura.
Verna, ritorno alla pittura. Una storia in tre grandi quadri, “La Repubblica”, edizione di Bologna, 28 marzo 1986
“La libertà per cui si lavora ha un senso solo se è totale: i limiti solo quelli della disciplina. Oggi, i miei soggetti sono sempre più identificabili e i titoli ne danno un’indicazione abbastanza approssimativa. In altre parole fanno parte del quadro, della sua storia e della sua utopia”.
Claudio Verna, Immagini di pericolo, catalogo personale Galleria N 2 / Nuova 2000, Bologna, 1986
Quanto potere abbiano le riflessioni di Claudio Verna, i dialoghi o le interviste, i suoi scritti lucidi e costanti sul «fare pittura» è un problema che ha sempre messo in crisi il mio rapporto con le opere e che, oggi, mentre accompagno per la prima volta una sua mostra personale mi si rivela con profonda esitazione.
Claudio Verna, immagini di pericolo, catalogo personale Galleria N 2 / Nuova 2000, Bologna, 1986
Sono passate finalmente molte acque, sotto il ponte delle petizioni di principio e delle giaculatorie onnicaptanti. E la pittura di Claudio Verna è ancora qui, alle soglie di un’akmé fatta di saporosi azzardi qualitativi, di toni espressivi tutti maggiori, anziché del corrispondere meccanico alle ragioni contingenti di un clima.
Claudio Verna, catalogo personale Palazzo dei Leoni, Messina, marzo 1986
Con Claudio Verna ho un lungo sodalizio e questo è il mio terzo appuntamento con la sua opera. E mi pare significativo che i nostri «incontri» si dispongano lungo un percorso che tocca ormai quasi i vent’anni e siano scanditi da intervalli di lunga durata.
Innanzitutto, l’origine del mio lavoro non si situa intorno al ’70, ma negli anni ’60. Mi spiego. Dopo le prime mostre tra Firenze e Milano, affidate soprattutto all’entusiasmo tra il ’58 e il ’60, mi posi la fatidica domanda: sono un pittore, un artista, oppure dipingo per vanità, per ambizione o per cosa diavolo?
1. Io come pittore sono nato astrattista, nel senso che a 20 anni, dopo le prime prove figurative, dipingevo già quadri che avevano perduto completamente l’aggancio visivo con la realtà. Mi consideravo, ed ero considerato, un pittore d’avanguardia.
Ma cosa si intende oggi per avanguardia?
All’inizio del secolo, l’astrazione si configurò come un progetto alternativo rispetto ai codici tradizionali, ed eversivo rispetto al potere. La polemica che ne seguì fu quindi lo scontro tra .due mondi contrapposti, in cui la forza della trasgressione e della novità era l’elemento chiave per capire la nuova arte.
Dipingo ormai da 30 anni, e la mia storia personale, i miei problemi di artista si intrecciano inevitabilmente con le vicende pubbliche dì questo periodo.
In particolare ci sono tre date, il 1960, il 1968 e il 1977, che secondo me possono essere considerate, sia pure con grossa approssimazione, veri e propri momenti di svolta, in cui violenti cambiamenti del gusto hanno coinciso con rivolgimenti sociali e politici, con il morire o l’affermarsi di nuove ideologie, e infine con tumultuosi ricambi generazionali.
Claudio Verna, in “Figure” n.7, Roma, 1984
Con la parola «pittura» si possono intendere cose diversissime. Quando i filosofi scrivevano ancora trattati di estetica, in genere, parlando della pittura si preoccupavano soprattutto di trovare a questa pratica che l’uomo sembra aver coltivato sin dai tempi più remoti una sistemazione, nel novero delle «belle arti», coerente con tutto l’insieme delle loro speculazioni. Un posto significativo all’incrocio delle diverse facoltà attribuite al soggetto che pensa ed agisce.
Claudio Verna, catalogo personale Galleria Bambaia, Busto Arsizio, ottobre 1983
Lo studio, come tutti gli studi, odora di pittura; tubetti pennelli ciotole sono sparsi sul tavolo in ordinato disordine, intorno, in una mostra ancora in gestazione, mobile e operosa, tutte le tele.
Claudio Verna. Emozione e controllo, entusiasmo e razionalità sono i due poli di un equilibrio la cui apparente fragilità costituisce motivo di fascinazione, “Flash Art” n.113, Milano, aprile 1983
Claudio Verna, o «della libertà». Qual è la libertà dell’artista? Per Verna è lentissima conquista di un proprio territorio mentale, regolato dalle norme ferree del lavoro pittorico.
L’immagine che comunque si rivela, catalogo personale Galleria Mèta, Bolzano, gennaio 1983
Claudio Verna fa la pittura e dipinge la pittura, identificando la sua verità materiale con la sua virtualità, guidandola e lasciandosi guidare, unendo il principio di illusione al principio di realtà.
Ogni sua proposta ed opera si presenta coerentemente contraddittoria, lucidamente ambigua, suscitando ogni volta il piacere dell’impossibile scoperta della «regola», che – infatti – fonda la pittura nell’esserne negata.
Colloquio con Verna, Edizioni della Cometa, Collezione del Millennio, Roma, novembre 1982
Giuseppe Appella – Qualche tempo fa hai scritto che «le parole dei pittori sono quasi sempre giustificazioni». Tu sai bene che la teoria, accanto alla pratica, è propria dei periodi nei quali l’artista respinge la condizione artigiana e per liberalizzare il mestiere cerca un ruolo di intellettuale (Leon Battista Alberti insegna, Kandinsky, Klee e Mondrian confermano). È anche chiaro che la teoria è sì una «giustificazione» (razionale, aggiungo) ma perché vuole farsi compendio di linguistica generale.
In “L’Espresso” n. 18, Roma, maggio 1981
Francesco Vincitorio – Claudio Verna da anni è nel mirino della critica. Prescelto per il “settore italiano” dell’ultima Biennale di Venezia, presente nella rassegna romana “Linee della ricerca artistica, 1960-1980”, tra breve parteciperà alla mostra “30 anni d’arte italiana” a Lecco. Comunque, di lui si può tranquillamente dire che da sempre è stato un fedelissimo della “pittura-pittura”.
Scontato che in arte nessuno è figlio di un solo padre, chi è il tuo papà prediletto?
Claudio Verna – Matisse. Per meglio chiarire il perché, consentimi una premessa.
Quell’“indizio” che l’autore ci ha lasciato, “Avanti”, Roma, 9 marzo 1980
“In tutti questi anni, mi sono spesso fatto questa domanda: la pittura, nonostante il peso enorme della tradizione e dei condizionamenti storici, ha sempre la capacità di proporsi come disciplina per fare arte, e possibilmente grande arte?
In “Gala international” n. 93, Milano, ottobre 1979
Miklos N. Varga – Prendo spunto dalla tua recente monografia (che è anche un’autobiografia artistica) per farti quelle domande che di solito costituiscono la “trama critica” di una recensione. Per esempio, fra i tuoi lavori del biennio 1959-60 e quelli del 1967 non vi sono relazioni, neppure nella fase intermedia, in quanto la gestualità dei primi è ancora emotivamente implicata nell’Informale, mentre dal 1967 in avanti la tua posizione “neoastrattista” riflette un ordine mentale contiguo all’immagine del quadro inteso come “quadro dell’immagine”. Penso a Malevitch, Ad Reinhardt, Barnett Newman.
Claudio Verna, Giancarlo Politi Editore, Milano, 1979
1. IL QUADRO E IL SUO DOPPIO
Il primo momento della ricerca (e l’ultimo, perché ognuna di queste proposte vale per tutto il percorso di Verna) è quanto mai imprevedibile. Il pittore dichiara prima di tutto di non conoscere il fine della ricerca, di non aver già catturato l’impalpabile essenza del Quadro: sa di non sapere. A la recherche… allora (con tutto il carico di Memoria che questa operazione sottintende).