1986 - Lucio BarberaVerna, vecchio e nuovo, “Gazzetta del Sud”, Messina, 5 aprile 1986

Si è come presi da un morbido vortice che lascia spazio, e a tanto induce, alla memoria ed all’emozione pur se, nel suo stesso vorticare di immagini e di colori, vigile mantiene un discreto controllo di razionale misura. Così ti accoglie, ti avvolge e ti circonda la stupenda mostra di Claudio Verna (Guardiagrele, 1937) a Palazzo dei Leoni di Messina, con cui, quanto mai degnamente, la città festeggia il ritorno attivo della Cooperativa “II Grifone” che tale mostra ha voluto ed organizzato.

Emozione e ragione, dunque; questi i due poli di una scarica dolcissima che una tale pittura provoca, il tutto avvolgendo in una ritrovata bellezza finalmente restituita all’arte o dall’arte, nonostante tutto, conquistata. E se l’emozione implica il sentimento, la ragione coinvolge la mente, ora sì l’uno e l’altra chiamati ad un dialogo raffìnatissimo che l’artista intrattiene ma che soprattutto lei, la pittura, reclama ed esibisce.

Si ha, dunque, un pieno coinvolgimento tutto da ascrivere alla recente pittura di Claudio Verna che le due possibili e contrastanti coppie (emozione-sentimento/ragione-mente) riannoda quasi come un magico giocoliere che tiri i fili, allentando ora l’uno ora l’altro, ma mai perdendo di vista quell’unico equilibrio che entrambi può mantenere in estrema tensione.

Ed è proprio questo equilibrio, e cioè a dire il controllo di razionale misura, che rap­presenta la strada che conduce direttamente il “nuovo” Verna (in mostra ci sono dipinti che vanno dal 1979 al 1985) al “vecchio” Verna che fu, sul finire degli anni Sessanta tra i protagonisti europei di quella straordinaria stagione della “Astrazione Analitica” o della “Nuova Pittura” che sarebbe tutta da riconsiderare, rappresentando l’anello di congiunzione tra l’estremo azzeramento del Concettuale e la ripresa pittorica; vera e propria alba, dunque, sorta non sulle ceneri del nulla, ma al contrario con la consapevolezza del tutto.

Ha dunque perfettamente ragione Filiberto Menna che nella sua lucidissima presentazione in catalogo (è quindi ancor possibile una critica d ‘arte per concetti e non per mossettine o sfarfallanti parole?) parla di continuità e di coerenza interna, ammo­nendo a non separare ” la fase più recente in quanto più libera e più spontanea e, in definitiva, più valida in quanto si sarebbe affrancata dalle precedenti intenzioni autoriflessive o analitiche”.

Ciò non toglie che uno scarto sia avvenuto e che ci si trovi in presenza di un non rinnegante mutamento, quasi che Verna, artista davvero colto prima e dopo tanta ignorante “pittura colta.”, abbia trasformato la “Nuova Pittura” in “Pittura Nuova”, utilizzando le sue precedenti esperienze, non per capovolgere i termini di un discorso ma per ulteriormente approfondirlo, andando al di là di quella che poteva apparire un’insuperabile parete.

“Quella” era appunto la “Nuova Pittura” soglia, dunque, e non muro attraverso cui è passata, rimanendo sempre sotto ciò che Menna chiama “morbido controllo mentale” o “memoria analitica”, la piena e totale disponibilità a confrontarsi non soltanto con le ragioni del linguaggio pittorico, ma anche con le ragioni della realtà esterna ed interna, della vita e della coscienza.

Permane, e da lì nasce questa componente mentale, un controllo assiduo e sapiente del mezzo espressivo, ma accanto ad esso si fa strada, senza nulla contraddire, una vitalità sentimentale (dunque felice e dolorosa, delusa e illusa) che si esprime in una gestualità libera ed intricante che da vita ad immagini emozionali e recupera in pieno l’emozione del colore.

La pittura conserva in pieno la sua struttura compositiva cioè a dire una sua organizzazione, ma ora una sorta di incantesimo della fantasia, e della memoria (e cos’altro ci resta per sopravvivere?) si affaccia sulla soglia della coscienza, lì trovando il loro giusto equilibrio.

Come la superficie del mare che, calmo o agitato, nulla mostra dell ‘incredibile mondo di passioni, di vita e di morte, che dentro o sotto custodisce, ma che tutte quelle invita a pensare perché lì è il mare e non nell’onda che ci è dato di vedere, così la pittura di Verna, mossa o calma (per certi aspetti è possibile pensare ad uno Schifano pensante o ad un Bertolini più poetico), conduce direttamente a scoprire un “paesaggio intcriore” dove appunto c’è spazio per il controllo mentale e per l’abbandono emozionale.

Il colore, il gesto sulla tela, gli interventi sovrapposti che hanno il senso del vissuto, come di calendario che non si sfogli ma si ricomponga per dare la dimensione del tempo che non passa, ma si accumula fino a divenire storia individuale e collettiva; tutta questa stupenda pittura sapiente e ingenua, razionale e gestuale, fredda ed espressiva, si fa, nella sua astrazione, immagine del mondo dove è dato sempre di esprimere il duplice rammarico: se gioventù sapesse e se vecchiaia potesse; eterno in­seguimento di saggezza e passione, di razionalità e sentimento cui l’umana esistenza sembra condannata.