2010 – Volker W. Feierabend

Volker W. Feierabend – Quando hai iniziato a dipingere eri figurativo o hai iniziato subito astratto?

Claudio Verna – Ho scoperto la pittura o, meglio, la pittura ha conquistato me, a sedici anni, in una provincia che praticamente ignorava l’arte moderna: non potevo che essere figurativo.
Dipingere paesaggi o fare il ritratto a qualche amico, era l’unica possibilità che mi si offriva. Poi ho scovato imprevisti compagni di strada e insieme siamo andati a caccia di ogni informazione possibile.  Ricordo i primi incontri e i primi viaggi come vere e proprie scoperte.

Dettagli

2008 – Alberto Rigoni

Cinque domande a Claudio Verna, in catalogo personale Fondazione Zappettini, Milano, dicembre 2008

Alberto Rigoni – La Pittura è ogni giorno messa in discussione. È accaduto nel passato, ad esempio negli anni precedenti alla Nuova Pittura; accade anche oggi, ad esempio alcuni musei italiani, anche importanti, ospitano raramente se non malvolentieri, puri e semplici “quadri”. Eppure, l’atto del dipingere è, forse dopo l’atto dello scrivere, quello cui con più frequenza ricorre chi desidera fare arte o semplicemente esprimersi. Ciononostante, e benché nessuno si sogni di definire desueti Teatro, Cinema o Architettura, la Pittura deve sempre giustificare la propria esistenza.

Dettagli

2007 – Alberto Rigoni

In “La nuova pittura in Italia 1972 – 1978”, Fondazione Zappettini, Chiavari, ottobre 2007

1. Quale fascino ha esercitato su di Lei la pittura per far sì che essa venisse da Lei preferita all’epoca ad altri medium artistici come mezzo espressivo principale?

2. Di che tipo era all’epoca il Suo interesse verso il supporto, il colore, gli strumenti? E oggi?

Avevo sedici anni quando vidi, casualmente, una mostra di pittura allestita da un artista, a me sconosciuto, nel retrobottega di un negozio di mobili: ne ebbi una emozione tale che tornai a visitarla tutti i giorni, fino a stordirmene.

Dettagli

1999 – Paolo Vagheggi

Claudio Verna e la fine dei generi, in “La Repubblica”, Roma, 11 gennaio 1999

«La mia aspirazione è quella di essere definito pittore, senza alcun aggettivo di seguito. Quando ho cominciato il mondo dell’arte ancora s’ac­cendeva in nome dell’astratto o del figurativo. Ero considerato un pittore astratto. Questa di­stinzione oggi ha perso comple­tamente di senso e quindi vorrei essere ricordato soltanto come pittore».
Il pittore senza aggettivi è Claudio Verna, a cui dedica una grande antologica la Galleria comunale di Palazzo Sarcinelli di Conegliano (fino al 31 gen­naio, catalogo Electa).

Dettagli

1982 – Giuseppe Appella

Colloquio con Verna, Edizioni della Cometa, Collezione del Millennio, Roma, novembre 1982

Giuseppe Appella – Qualche tempo fa hai scritto che «le parole dei pittori sono quasi sempre giustificazioni». Tu sai bene che la teoria, accanto alla pratica, è propria dei periodi nei quali l’artista respinge la condizione artigiana e per liberalizzare il mestiere cerca un ruolo di intellettuale (Leon Battista Alberti insegna, Kandinsky, Klee e Mondrian confermano). È anche chiaro che la teoria è sì una «giustificazione» (razionale, aggiungo) ma perché vuole farsi compendio di linguistica generale.

Dettagli

1981 – Francesco Vincitorio

In “L’Espresso” n. 18, Roma, maggio 1981

Francesco Vincitorio – Claudio Verna da anni è nel mirino della critica. Prescelto per il “settore italiano” dell’ultima Biennale di Venezia, presente nella rassegna romana “Linee della ricerca artistica, 1960-1980”, tra breve parteciperà alla mostra “30 anni d’arte italiana” a Lecco. Comunque, di lui si può tranquillamente dire che da sempre è stato un fedelissimo della “pittura-pittura”.
Scontato che in arte nessuno è figlio di un solo padre, chi è il tuo papà prediletto?

Claudio Verna – Matisse. Per meglio chiarire il perché, consentimi una premessa.

Dettagli

1979 – Miklos N. Varga

In “Gala international” n. 93, Milano, ottobre 1979

Miklos N. Varga – Prendo spunto dalla tua recente monografia (che è anche un’autobiografia artistica) per farti quelle domande che di solito costituiscono la “trama critica” di una recensione. Per esempio, fra i tuoi lavori del biennio 1959-60 e quelli del 1967 non vi sono relazioni, neppure nella fase intermedia, in quanto la gestualità dei primi è ancora emotivamente implicata nell’Informale, mentre dal 1967 in avanti la tua posizione “neoastrattista” riflette un ordine mentale contiguo all’immagine del quadro inteso come “quadro dell’immagine”. Penso a Malevitch, Ad Reinhardt, Barnett Newman.

Dettagli

1968 – Marisa Volpi

Nell’ambito dell’inchiesta su “Tecniche e materiali”, in “Marcatre” n. 37 – 38 – 39 – 40, Roma, maggio 1968

Marisa Volpi – Che funzione ha la tecnica nel tuo lavoro?

Claudio Verna – Se intesa come simbolo concreto della civiltà industriale, essa non en­tra direttamente nel mio lavoro: non sono cioè in concorrenza né con lo scienziato, né con l’industrial-designer il quale, oltre a tener conto di­rettamente dei materiali che usa, deve conoscere il procedimento di esecuzione   industriale del suo progetto.

Dettagli