In “L’Espresso” n. 18, Roma, maggio 1981

Francesco Vincitorio – Claudio Verna da anni è nel mirino della critica. Prescelto per il “settore italiano” dell’ultima Biennale di Venezia, presente nella rassegna romana “Linee della ricerca artistica, 1960-1980”, tra breve parteciperà alla mostra “30 anni d’arte italiana” a Lecco. Comunque, di lui si può tranquillamente dire che da sempre è stato un fedelissimo della “pittura-pittura”.
Scontato che in arte nessuno è figlio di un solo padre, chi è il tuo papà prediletto?

Claudio Verna – Matisse. Per meglio chiarire il perché, consentimi una premessa. Secondo me, l’unica realtà con cui — tramite la vista — possiamo entrare in rapporto è quella percepibile attraverso il colore. Come corollario, senza dilungarmi in teorie, posso dire che, per me, i significati della pittura vanno cercati nel colore, nella struttura del colore. E, in questo senso, non conosco un’espressione più alta dell’opera di Matisse. A questo punto potrei parlarti della “psicologia della forma”, della sensualità del colore o della “maestosa serenità” di Matisse. Ma preferisco citare un suo quadro, “Lo studio rosso” del 1911. Quando, anni fa, lo vidi per la prima volta al Museo d’arte moderna di New York ne ricevetti un’emozione indimenticabile. Perché? E’ difficile spiegarlo. Forse perché dietro quel dipinto si sente che c’è studio, sperimentazione, ricerca ma il risultato, pur testimoniando tutto questo, parla di libertà, di felicità, di desiderio di possedere la vita.

F.V. – Tutto ciò che rapporto ha con la tua pittura?

C.V. – Ecco, io vorrei, col mio lavoro, arrivare a conquistare un po’ di quella libertà. Diciamo: la mia libertà di artista. Da diverso tempo, ormai, i quadri che porto a termine sono sempre meno numerosi e mi costano una gran fatica. Ma (te lo posso assicurare) li considero finiti solo quando tutto il lavoro sembra annullarsi e il dipinto sembra fatto, magari, in poche ore. Per tornare a Matisse vorrei aggiungere un’ultima considerazione. Questo pittore non punta mai sullo choc o sulla cosiddetta “novità” per sorprendere chi guarda. Egli lo conquista lentamente con l’assolutezza della sua opera. Io penso che questo dovrebbe essere il vero obiettivo di ogni pittore.