1990 - Claudio CerritelliCarte di Verna, Pittura di carte, Edizioni Mèta, Bolzano, 1990

Carte volanti, carte colorate, carte disegnate.

Le immagini si spostano dentro i margini concreti dell’ultima pittura di Verna attingendo alla fonte di gesti immediati, ancora carichi di stupore.

Il clamore del linguaggio non è un fatto definibile in queste trame del segno che divagano nel colore, nascostamente, accordando alla superficie variazioni sul medesimo tema, che è l’atto stesso del dipingere.

Il tema di fatto è sempre la pittura, non tela o carta ma campo visivo, sostanza, intervallo brevissimo, tensione, figura del tempo raccolto alla sommità della percezione. Alla quale si connette, ossessione dichiarata di Verna, la memoria e l’evocazione del colore ulteriore, invariabile, che appartiene alla coscienza del passato e al futuro, ora. Questi esercizi guidati dal battito e dall’intreccio dei segni rinnovano sulla carta lo stile necessario del pittore, apparizioni e sparizioni di colore, strati dissimili, balzi, macchie annerite nel rapido tratteggio della grafite oppure geometrie cancellate e sospinte nel bianco, agli estremi.

Verna restituisce purezza alla pittura e al disegno, li spinge insieme verso un ductus mobile e indefinito in cui la visione è sottoposta alle forme dinamiche e, non per niente, sommosse nel loro desiderio di spazio. I tratti occupano diverse posizioni nel bianco immobile, l’orizzonte si allarga come zona impercettibile e serena che schiarisce fino al punto di sparire, di svanire, di estenuarsi nel cuore della superficie, alquanto densa.

Il senso di queste carte è del tutto autonomo ma interno alla grande dimensione delle tele, fisiche e fisicamente, al loro tono coinvolgente che si accampa senza contrasto di fronte alla gittata dello sguardo sulla parete.

Questo respiro le carte non riescono a simularlo, concitate vibrazioni hanno luogo nell’abbreviazione del gesto, che sospende se stesso nello spazio ideale, dal punto di vista del frammento e del taccuino d’immagini. Voglia dirsi astratta, informale, aniconica o che altro, la pittura di Verna raccoglie da questi stimoli veloci il giuoco delle oscillazioni, le intermittenze del segno, la smania di produrre su fogli sparsi molteplici combinazioni: di pastello, di tempera, di matita, di acrilico, di cera, di neri chiarissimi e di oscure profondità del bianco, di pennellate al volo e di precise colorazioni di fondo. Non può neppure dirsi che sono carte intese come progetti perché in queste offerte di pittura Verna mette se stesso, in parallelo alle tele, non si tratta di separare ma di vedere tutto dentro la libera origine del colore. La gestazione è analoga, il castello di carte non ha ritmi estranei al calcolo più complesso che dialoga con l’ambiente, ha solo ritmi diversi, inghiottiti nel vuoto intimo del foglio.

Un’ombra, un azzurro, una graffitura e una cancellatura, nella crepa dell’immaginazione s’insinua un movimento che porta oltre il paesaggio conosciuto, verso un enigma.

Bastano pochi segnali per immergere gli occhi e le mani nel processo di individuazione della pittura, se presa di petto. L’immagine sta nella presenza di figure dominanti che tornano nelle visioni di Verna come luoghi vissuti e ancora da vivere, cumuli di tensione visibile e non vista.

Queste figure senza rimando sono dipinte per pura sintesi formale, come se volessero parlarci di una sorgente, di un flusso disperso, come se intendessero riportare il colore ad un nuovo incanto ben sapendo che la vera pittura ha un cammino impalpabile, ignoto.