1987 - Giorgio BonomiDa catalogo Rivivi la tua città, Rocca Paolina, Perugia, 1987

Claudio Verna è, ormai, un “maestro”. Non nel senso che abbia una “scuola”, ma in quanto può porsi come “esempio”. Il suo percorso artistico, dal giovanile informale al­l’astrattismo analitico fino all’attuale fase di segno più “gestuale”, è una ricerca, rigorosa e continua, all’interno della “pittura”. Non è interessato al “quadro”, ma agli elementi costitutivi della pittura stessa. Ora, in piena maturità, l’elemento razionale resta più na­scosto, non serve più “dimostrare”. Verna ora “mostra”: è una pittura che non teme, accanto a fantasmagorie cromatiche, i toni scuri, l’abbandono all’emozione che, pe­rò, deve essere “veduta” prima che “capita”. La sicurezza del gesto – della mano, del braccio, del pennello – provoca un calore profondo e una memoria, della storia del­l’arte, senza necessità di appigli concettualizzanti. È una pittura che, hegelianamente, si pone di per sé.

 

Da catalogo Percorsi, Olivieri – Verna, Galleria Varart, Firenze, 2006

Anche i titoli delle opere di Claudio Verna rispondono a più significazioni: da quelle oscu­ramente personali a quelle letterarie, da quelle “pratiche” a quelle evocative; ma negli ultimi anni ’60 e nei ’70 i titoli di Verna erano fortemente tautologici (il numero progressivo di esecuzione del quadro, Acrilico, Pittura}, mentre Olivieri già cercava di uscire dalla “ri­gorosità” della tautologia (che poteva, a lungo andare, risultare anche banale). Gli è che Verna fu, agli inizi, più “analitico”, ma mai algido, sempre attento ad un colore che non si assolutizzasse nella monocromaticità, ma che anzi mantenesse la possibilità dell’altro (la policromia), magari anche solo con un’indicazione, cioè con una sottile striscia di diversa cromia ai bordi della tela, quindi un colore altro – o più colori altri – che non voleva asso­lutamente essere “ricacciato” dietro il telaio oppure, ma è lo stesso, che stava “ritornando” dalla profondità del dietro del quadro.

Il quadrato, o comunque l’ortogonalità, come per molti “nuovi pittori”, era per il nostro artista la forma geometrica prediletta: in questo si possono leggere tutte le lezioni dell’astrat­tismo classico (soprattutto di Mondrian, per le ascisse e le ordinate) ed anche le indiscutibili proprietà del quadrato, con il suo senso di perfezione da un lato e con la sua essenzialità, dall’altro, che si offre già al momento di origine del farsi del disegno, la “quadrettatura” del foglio, procedimento sì pratico ma anche molto analitico/concettuale, che in Verna si evi­denzia con un segno ad X al centro del quadro, come – quando si “squadra(va)” il foglio – per posizionare il compasso.

Come gli altri, anche Verna si “allontana” dalla “pittura pittura”, cioè da quel movimento che non fu mai gruppo strutturato e solidale. Ma resta nella pittura: anzi questa, dagli an­ni ’80, si intensifica, nelle cromie, negli spessori, nella densità della massa pittorica; l’olio prende il posto dell’acrilico, con effetti di maggior intensità sia compositiva che coloristica.

Non sfugge alla tentazione di una sorta di “ritorno”, in un qualche modo, all’informale, la stagione di una pittura sicuramente più veemente e più forte; ad un certo punto, siamo ora­mai negli anni ’90, Verna passa lunghi periodi nel suo studio in Umbria e i suoi quadri non riescono a non riempirsi di quei colori di una stupenda campagna che nutrono l’occhio del­l’artista per giorni e giorni. I gialli e i verdi della primavera, ma anche i bianchi nevosi degli inverni o i giallo-arancione delle estati afose e gli autunnali marroni trovano ampio spazio sulle superfici dell’artista, che, preso dalla volontà di esprimere un’emotività incontenibile, tende alla saturazione cromatica della tela, a prescindere dai “segni” o dalle “composizioni” presenti. Segni, però, sempre più incisivi, dettati da un gusto naturale, quasi erotico, tanto che l’artista, oltre al pennello, ama intensamente il pastello.

Il ritorno, abbastanza recente, a Roma coincide con una metodologia che va dal recupero dell’acrilico ad una sorta di “prevalenza” di un colore singolo con effetti quasi di monocromaticità, data appunto dalla dominante di un colore, non certo dalla sua unicità, da un raccoglimento maggiore che, senza impedire la liricità, tempera però l’emotività fortemente dichiarata, ad un recupero anche della tradizione, per esempio, romana del rosso “cardina­lizio”, presente in Scipione e Mafai e in molti loro successori.

 

Da Documenti di pittura Griffa Olivieri Pinelli Verna, Galleria del Milione, Milano, 2008

Verna è “analitico” agli esordi: la tela è monocroma ma mantiene ai bordi dei “residui”, una sorta di “slabbrature”, di colore, alla Morris Louis, o delle linee rette – ora perimetrali, ora che “squadrano” la superficie, ora che si pongono duali a “croce” o in numero superiore, ma sempre ortogonali – che realizzano una sorta di “quadrettatura” o “griglia” sul quadro. La stessa monocromia non è “rigida”, ma risulta da una “prevalenza”, di bianco, di giallo, di rosso, o di altro colore.

Verna poi si allontanerà da una pittura strettamente analitica per una scelta cromatica plurima e per una stesura del colore più rapida e nervosa, anche quando la composizione è più, sinfonicamente, “andante moderata”.