Catalogo Galleria La Polena, Genova, 1979

Ho sentito dire spesso che un pittore, in fondo, dipinge sempre lo stesso quadro. Non so se sia vero.

Per conto mio, posso dire che il lavoro più recente ha inaspettati punti di contatto con le tempere su carta che dipingevo nel 1959. È cambiata la struttura del quadro, l’immagine, la tecnica, soprattutto sono cambiato io, eppure sento questi due periodi contemporanei. Anzi, mi rendo conto sempre più che quadri lontanissimi nel tempo mi sono contemporanei allo stesso modo di altri recenti. Ma la diversità resta: e allora cosa li accomuna? Forse è vero che si dipinge sempre lo stesso quadro?

1978 – Marcello Venturoli

Ritratti clandestini: Claudio Verna, “II Giornale”, Milano, 3 novembre 1978

Forse Claudio Verna è il più tipico e il più a «tutto tondo» fra i pittori che hanno cominciato ad avere successo nel 1970 e che lo hanno mantenuto ed ampliato in questo quasi decennio: basterebbe il secondo traguardo biennalino di adesso, oltre che la mostra personale alla Marlborough l’anno scorso: e poi la fraterna stima di artisti italiani e stranieri sulla breccia internazionale prima di lui, da Dorazio a Smith, il fatto di costituire, insieme con Battaglia, Olivieri, Guarneri, Gastini, Griffa (Raciti e Vago sarebbero i «cugini» della loro famiglia, non ortodossi, pittori d’avventura; ma Raciti, come scrissi più si straluna e si diversifica, più è lui) una linea operativa ben precisa, chiamata in varia guisa «neo pittura», autonomismo cromatico, anti-quadro del nuovo spazio visitato, serialismo qualitativo, esperienza del dato non acquisito e del far pittura via via, opera come antirealtà – ovviamente di una realtà che ha fatto il suo tempo – etc. etc.

“DATA” n.32, Milano, 1978

Prima di tutto il colore è una parola, una convenzione. Niente è più diverso di un rosa chiaro da un rosa appena meno chiaro, o un vermiglione su una tela preparata in un certo modo da un vermiglione su una tela preparata in un modo diverso. I colori rivelano il massimo della loro complessità e quindi dei possibili, infiniti significati quanto più vengono liberati dei loro attributi psicologici e letterari che vorrebbero renderci familiare e inoffensiva una parola in realtà sconosciuta.

1976 – Enrico Crispolti

Il risarcimento lirico di Verna, in “Erotismo nell’arte astratta”, Celebes Editore, Roma, 1976

Già nel 70 la «poetica» di Verna è sufficientemente definita. La sua decisa uscita rimonta a pochi anni prima, fra 1967 e 1968, con personali soprattutto a Roma e a Firenze: un’uscita avallata intelligentemente da Cesare Vivaldi nel clima di quel neostrattismo sperimentale fra romano e fiorentino nel quale si affannava allora anche la Morales.

Catalogo I colori della pittura, a cura di Italo Mussa, Istituto Italo–Latino-amercano, Roma, 1976

1 – Penso che la pittura non abbia alcun bisogno di essere definita in modo «preciso», anche perché ciò significherebbe costringerla entro schemi rigidamente codificati. Al contrario, considero la pittura una disciplina che, in un rapporto dialettico con la tradizione e con la realtà, ha in sé la forza e la capacità di rinnovarsi continuamente.
Le definizioni riguardano semmai momentanee e molto spesso apparenti convergenze nella ricerca di alcuni artisti, ognuno dei quali, invece, va considerato nella specificità del suo lavoro e della sua elaborazione teorica.

Pittura, “Chisel book”, Edizioni Masnada, Genova, 1976

LE CONTRADDIZIONI DI FONDO
Circa dieci anni fa, prevalse la tendenza a considerare la pittura come antiquariato. Ripetendo ancora una volta l’operazione che ha perpetuato fino ad oggi molti equivoci sulle avanguardie, alcune correnti artistiche furono avvalorate dalla critica e sostenute dal mercato non in quanto affrontavano o sviluppavano in modo nuovo le premesse e le contraddizioni di fondo dell’arte moderna, ma in quanto si ponevano, pregiudizialmente, come diverse da tutto ciò che le precedeva.

1975 – Giovanna Dalla Chiesa

Difficoltà della pittura, catalogo personale Galleria Spagnoli, Firenze, 1975

Verna non pensa che fare il quadro sia qualcosa di diverso dal «fare la percezione»; si pone in questo senso nella grande linea pittorica che partendo da Seurat, Matisse, Mondrian, Malevic, arriva fino agli italiani Balla, Fontana e Dorazio. «Quale pittura?» si chiede con calore Verna: «Il problema è ormai di sapere di quale pittura si parla.

Qualche appunto sulla lavorazione del quadro “Archipittura”, personale Galleria Bertesca, Genova, 1975

Innanzitutto ho dipinto la superficie della tela (“68” belga, preparata industrialmente) con 5 o 6 mani di colori ad olio che vanno dal giallo di cadmio medio al violetto rossastro. I passaggi sono stati dati a colore fresco, intrecciando la pennellata in modo da formare un reticolo in cui ogni colore in parte si fonde con gli altri, in parte rimane identificabile per se stesso. Il verso della pennellata è genericamente obliquo verso destra: cioè, dato che sono destrorso, corrisponde al movimento naturale del braccio quando deve segnare o coprire una superficie.

1973 – Filiberto Menna

Claudio Verna, catalogo personale Galleria del Milione, Milano, maggio 1973

Claudio Verna crede nella possibilità di parler peinture. Ma il suo parlare si affida alle parole stesse della pittura, sicché egli discorre della pittura facendo la pittura.

Operazione sottile.

Quale pittura?, “Flash Art” n.38, Milano, 1973

Il problema, ormai, è di sapere di quale pittura si parla.

Perché il rischio più grosso è di ritenerla una specie di ritorno all’or­dine o, nel migliore dei casi, una «lunga eco della tradizione». Ma così si torna al quadro come pezzo di bravura che, se mai è esistito, non ha più alcuna ragione di essere, o ai miti razionalistici e funzionali dell’avanguar­dia storica, morti quando finalmente ci si è accorti che l’arte non è la storia.

1972 – Gianni Contessi

In catalogo personale, Studio d’arte Eremitani, Padova, 1972

Per Verna, la pittura è anzitutto un procedimento, un vero e proprio metodo di indagine conoscitiva. Così il suo lavo­ro, anziché procedere per paradigmi, conduce una continua, serrata analisi iterativa (del resto, una sua opera del 1969 si intitola proprio «Iterazione ambigua») di alcuni fatti percettivi, uno dei quali — fondamentale — è proprio l’ambiguità, da Verna intesa non in senso gestaltista ma come vera e propria componente esistenziale, e quindi tra­sferibile anche a livello di visione.

1972 – Luigi Lambertini

Claudio Verna, catalogo personale Galleria Peccolo, Livorno, febbraio 1972

Un rigore ed una continua decantazione che si sono sviluppati attraverso il tempo con coerente modulazione di motivi, che hanno avuto sempre come base un filtro mentale ed una distaccata ironia, sono gli elementi caratteristici dell’opera di Claudio Verna.

«Mi piacerebbe che davanti ai miei quadri ci fosse sempre una sedia», catalogo personale Galleria Editalia, Roma, 1971

I quadri di questa mostra non hanno titolo.

Una lettera, seguita da un numero progressivo, li identifica per esi­genze pratiche. Voglio dire che vanno visti nel loro insieme, momenti di un unico discorso che non accetta più il quadro come un pezzo di bravura più o meno riuscito.

Non c’è titolo perché non c’è racconto, quindi manca l’immagine, l’immagine è il quadro stesso.

La qualità. In pittura viene riferita inevitabilmente all’abilità dell’ar­tista, alle sue doti. Mentre invece ogni forma di espressione può vivere so­lo come fatto mentale, come elaborazione di proposte, come creazione di linguaggio.

1970 – Nello Ponente

Claudio Verna, catalogo personale Galleria Martano/Due, Torino, novembre 1970

La semplicità estrema della proposta (e dei mezzi) non si spiega a parole. E’ il merito primo: una forma di concentrazione, una richiesta di attenzione che deve essere portata esclusivamente sugli organismi pittorici. L’essenzialità di Verna non sopporta descrizioni, dilungamenti in interpretazioni metafisiche e fallaci. I significati sono nella pittura che rifiuta anche, nella propria costituzione, di fenomenizzarsi come somma di separati incidenti successivi.

1970 – Piero Dorazio

Claudio Verna, catalogo personale Galleria dell’Ariete, Milano, ottobre 1970

Vale la pena? Vale la pena di prendere il telaio, tirarci su ancora una tela, prepararla a ricevere come si deve il colore, perché resti vivo a lungo? Vale la pena di lavare i pennelli e di passare delle ore a esercitare l’occhio alla mira giusta sulle tinte, a sentire il polso della composizione?

1970 – Giovanni Carandente

Claudio Verna, catalogo personale 35° Biennale di Venezia, 1970

Nel lavoro di Claudio Verna l’elementare sta all’ambiguità quanto la lucida geometria all’intuizione primaria del colore-luce. Il quadro (che qui ancora di questo si tratta) fonda su due elementi semplici, il colore – talvolta sono plurimi accordi o contrasti combinati – e la prospettiva, sennonché la seconda è soltanto suggerita: da spiragli di luce, da vibrazioni impercettibili, da tagli repentini.

Perché ancora la pittura?, catalogo della mostra, Caserta, 1970

Innanzitutto modificherei la domanda: perché «no» la pittura? Dire perché «ancora» la pittura vuoi dire mettersi sulla difensiva, trincerarsi dietro l’ultima possibile frontiera. È la posizione di molti pittori e critici che non negano la pittura tout court, ma le conferiscono indirettamente un valore di reazione, nel migliore dei casi conservativo. Ed è chiaro che, a lungo andare, questa posizione è indifendibile.

Personalmente, non ho ancora sentito argomentazioni capaci di condannare a morte la pittura. Ogni volta che la critica affronta questo tema, nega semmai la validità di una «certa» pittura, di «certi» artisti, di «certi» movimenti.

1968 – Marisa Volpi

Nell’ambito dell’inchiesta su “Tecniche e materiali”, in “Marcatre” n. 37 – 38 – 39 – 40, Roma, maggio 1968

Marisa Volpi – Che funzione ha la tecnica nel tuo lavoro?

Claudio Verna – Se intesa come simbolo concreto della civiltà industriale, essa non en­tra direttamente nel mio lavoro: non sono cioè in concorrenza né con lo scienziato, né con l’industrial-designer il quale, oltre a tener conto di­rettamente dei materiali che usa, deve conoscere il procedimento di esecuzione   industriale del suo progetto.

1968 – Marisa Volpi

Claudio Verna, catalogo personale Galleria Flori, Firenze, maggio 1968

Ridare articolazione al vedere a livello di coscienza, liberarci dell’automatismo della percezione è il grande tema dell’arte contemporanea, dall’impressionismo ad oggi: scoprire gli artifici attraverso i quali può essere isolato un elemento nella catena delle immagini, evidenziare la fattura dei quadro (e quindi l’immagine come fattura), far emergere i processi dell’apprendimento visivo – illusioni ottiche, organizzazione dello spazio, relazionalità dei colori, ecc.

1968 – Italo Tomassoni

I tre momenti della pittura di Verna, catalogo personale Galleria Il Sagittario, Bari, marzo 1968

Credo che sia opportuno, anzitutto, cercare di stabilire che cosa, nei quadri di Verna, è concreto e oggettivo, e che cosa è, invece, mentale e astratto. (Questa problematico esclude, intanto, una catalogazione poetica di tipo oggettuale; il quadro infatti non è oggetto ma, tradizionalmente, si presenta come un supporto «tela» su cui si delineano le forme e i colorì realizzati secondo i modi canonici della pittura a olio).

1968 – Cesare Vivaldi

Claudio Verna, catalogo personale Galleria Arco d’Alibert, Roma, febbraio 1968

Ci siamo ormai tutti abituati a passare da una galleria all’altra, da uno studio di pittore o di scultore all’altro, con lo stesso spirito con cui da ragazzetti già grandicelli (e quindi insofferenti e smaniosi di giochi all’aria aperta) eravamo costretti il giovedì santo a visitare i «sepolcri» peregrinando da questa a quella chiesa.

1967 – Filiberto Menna

Claudio Verna, catalogo personale Galleria Il Paladino, Palermo, febbraio 1967

Si può parlare di una nuova astrazione come quella storica. Di impianto costruttivo, predilige le forme definite, i colori netti campiti su ampio superfici. Diversamente da quella non tende agli elementari geometrici. Alla stasi e alla certezza contemplativa predilige l’accelerazione e il contrasto, l’ambiguità ottica. E’ immersa nella realtà quotidiana, la considera un primum non eludibile della esperienza. Non vuole, sa di non potere imporre a questa realtà mutevole, resistente nel suo essere data, una forma privilegiata a priori.

1961 – Giancarlo Politi

Un giovane pittore: Claudio Verna, “La Fiera letteraria”, Roma, 12 febbraio 1961

Claudio Verna è uno dei pochissimi pittori italiani che, pur giovani ma già affermati, si accosta alla pittura con umanità.

Una umiltà piena di candore, di pigrizia, di solitudine. Una umiltà da anacoreta che cerca però la grazia e il raptus nel calore della luce mediterranea e in quei gialli infuocati che tanto amava Van Gogh o in quei rosa mistici da ricordare certe pallide malinconie di Gerard de Nerval.