Colorì agili – testo per personale Galleria Monitor, Roma, 2013

Claudio Verna ha spesso parlato di questa mostra a Monitor, prefigurandosela come una mostra “di pittura” e non “di quadri”, e qualche giorno fa, durante una delle mie visite nello studio di Valle Aurelia, piuttosto frequenti nel corso dell’ultimo anno e mezzo, lui mi ha fatto notare, con divertimento, come in un testo recente io abbia usato con molta disinvoltura la parola “quadro”.
In questo semplice distinguo – che lui pone in questi termini: “fare quadri non sempre significa fare pittura. Fare pittura può anche significare fare quadri” -, non c’è solo tutta la precisione linguistica degli anni Settanta, la complessità di quel decennio e la difficoltà a viverci in mezzo, per un pittore. C’è anche l’enorme distanza che separa uno che ha iniziato a dipingere negli anni Cinquanta da un critico che usa la parola quadro – così obsoleta, eppure per certi versi bellissima, e necessaria se vuoi parlare di pittura partendo dalla sua fragilità e dai suoi limiti materiali – con molta disinvoltura, e uno dei possibili rischi di questo breve testo, cioè di non accorgermi se sto parlando di pittura, o semplicemente di alcuni quadri di Claudio Verna.
/ colori agili è, anche, una mostra di quadri.
/ colori agili non è un’antologica, non nasce all’insegna del “Best of “, ma vuole provare a scardinare l’idea di un Verna campione della Pittura analitica e basta, della Pittura -Pittura, di un Verna anni Sessanta/Ottanta/Novanta, di un Verna richiudibile in serie, bloccato nelle periodizzazioni o nelle asperità concettuali dei Settanta. In mostra ci sono sei quadri, tre di molti anni fa, ma ci sono proprio perché i dipinti del presente ne hanno chiamato la presenza. Di questi sei quadri ce ne sono dunque alcuni recentissimi e altri fondamentali ma non troppo noti, semmai “di transizione”, “di passaggio”, e che per questa ragione sfuggono alle classificazioni: Pittura del 1976, in cui la pennellata è presenza libera, “di sensazione”, per la prima volta slegata dal disegno e dalla geometria; l’Omaggio a Licini, del 1966, dove un minimalismo alla Frank Stella si incontra con la volatilità e la leggerezza di una Amalasunta. Ci sono, inoltre, altri lavori poco visti e marginali per via del loro carattere di tentativo, di eccezione, come i due collage in mostra, in uno dei quali viene riutilizzato lo scarto dei dipinti maggiori, il nastro adesivo usato per tracciare contorni e linee, e alcuni disegni realizzati la scorsa estate a Rapicciano, in Umbria, dove l’artista trascorre l’estate. Si tratta di un accostamento inedito per Verna, che in genere espone i dipinti e le carte separatamente. E ancora: ne / colori agili solo un quadro è riconducibile al periodo della Pittura analitica (Esulta nel rosso 2), ma non ne fa proprio parte a pieno titolo, semmai lo preannuncia, con quel rosso che si espande fino ad un contorno di linee spezzate e di bordi blu e arancioni.
La Pittura analitica viene celebrata, da qualche anno a questa parte, con molte mostre e pubblicazioni: non solo perché è stato l’ultimo grande momento della storia dell’astrazione italiana e internazionale, o perché, nel nostro Paese, è stata oscurata, compressa, prima dall’arte povera e, più tardi, dalla Transavanguardia. La Pittura analitica viene celebrata oggi, perché, diversamente dai neoespressionismi degli anni Ottanta, ha posto l’accento su cose molto attuali, come il rapporto tra le idee di provvisorietà del dipinto, di capolavoro, e di quadro ultimo/definitivo, e perché ha rimesso in discussione, rappresentandolo, il delicato equilibro tra dimensione progettuale ed esperienza in pittura. Tuttavia la mostra da Monitor mette tra parentesi il periodo analitico di Verna: ci sono due quadri dei tardi anni Sessanta – cioè di quando l’artista portò definitivamente a compimento quel travagliato percorso di superamento dell’Informale che ha segnato la sua formazione (per Verna si trattò di ricucire suggestioni che provenivano dalla pittura americana e internazionale – da Guston, Rothko e De Stael fino a Frank Stella ed Agnes Martin – a un certo Novecento italiano, anche minore) e un dipinto del 76, che segna proprio il distacco, l’allontanamento dell’artista dal periodo analitico, cioè da una parte importante della sua storia, per approdare ad una diversa libertà di dipingere, alla possibilità di un abbandono, di una svagatezza e di una rapidità che credo abbiano avuto a che fare con la conquista una felicità nuova e con l’abbattimento di qualsiasi complesso della tela bianca.
/ colori agili vuole affermare che il Verna di oggi, che, tra le altre cose, rilegge, reinterpreta il suo periodo analitico, ma in forma più poetica che mentale (allora i segni, le linee, le croci, le partizioni, riappaiono come “fatti a posteriori”, come fragile tentativo di organizzare, di controllare; come tracciati emotivi, interiori) dialoga meglio e più agevolmente con quello indefinito, irrequieto e – per certi versi più impreciso – degli anni che seguono e precedono il periodo analitico.
/ colori agili è infine una mostra di colori, di tutti i colori di Verna.
I colori “pretendono di avere una dimensione, indipendentemente dai desideri del pittore stesso” – ha detto Morton Feldman nei Pensieri Verticali – ma anche una vita autonoma, un’indipendenza, appunto, che in questa mostra si traduce in una volatilità, in una specie di agilità (di colori che possono addensarsi al centro del dipinto, o correre lungo i bordi, o distribuirsi tra le pieghe del quadro, nei meandri, o riaffiorare inaspettatamente in punti diversi, aprendosi piccoli varchi, o saltare, scomparendo e riapparendo, di quadro in quadro, incuranti degli scarti temporali).
E dietro questa agilità del colore c’è un’altra agilità, quella di Verna, che sovverte e scambia pesi e dimensioni (del colore) quando meno te lo aspetti, che lavora velocemente, per sovrapposizioni di toni e campiture, con pennellate involontarie e multi direzionali, con luccichii e grovigli (da quadro di Monet a tratti, come in Andante Appassionato, 2012), una agilità conquistata dopo un percorso molto lungo e all’interno del quale gli anni della pittura analitica mi appaiono, talvolta, semplicemente propedeutici, come una ginnastica preparatoria.
/ colorì agili vuole decentrare Verna, guardare al suo lavoro negli interstizi, nei passaggi, nelle svolte, ma anche, all’interno di questa eterogeneità, provare a far riemergere un codice.
Che se ne rintracci la presenza, che possa coincidere con questa agilità/felicità del colore, o che magari, semplicemente, sia soppiantato da una inaspettata, elegante difformità, poco importa: che reale vantaggio ci sarebbe stato, per Verna, ad esporre in una galleria come Monitor, con una storia così diversa dalla sua, se non per farsi un po’ sconvolgere?